LA POLITICA COLONIALE ITALIANA
Dopo aver conseguito l'unità, anche l'Italia, a somiglianza delle altre grandi potenze europee, cercò di acquistare (o conquistare) possedimenti coloniali fuori d'Europa, sia per dirigere in territori di sua appartenenza la popolazione esuberante, che già si avviava all'emigrazione transoceanica, sia per aprire nuovi sbocchi al suo commercio.
Le pressioni dell'industria armatoriale, cantieristica, siderurgica che non trovavano in patria sufficienti occasioni di profitto non erano estranee a queste sollecitazioni imperialistiche. Del resto le altre potenze avevano già iniziato da anni a formare i loro imperi coloniali, e negli ultimi tempi queste mire si stavano estendendo a dismisura.
Infatti in questo ventennio di fine del secolo le grandi potenze avevano iniziato a spartirsi il mondo; una vera e propria era imperialistica. Chi per procurarsi materie prime, chi per estendere i suoi commerci, chi per piazzare nelle esportazioni il surplus della produzione in patria, e chi per accaparrarsi le grandi miniere di oro o di diamanti. A dominare nelle conquiste coloniali ovviamente l'Inghilterra, che già da un centinaio di anni (tra la fine del Settecento e la prima metà del XIX secolo) l'occupazione delle terre era stata la sua vocazione. In questo 1882 ai suoi 244.000 kmq dell'isola, gli inglesi avevano già aggiunto e "conquistato" 22.000.000 di territori sparsi nei cinque continenti. Così la regina Vittoria divenne anch'essa imperatrice.
Gli Inglesi avevano il monopolio (con la Compagnia delle Indie) della navigazione e del commercio con l'Oriente, ma anche il dominio politico sulle colonie in India, in Africa, in Australia. Questa situazione fino al 1884. Dopo la Conferenza Internazionale di Berlino le potenze in tacito accordo pianificarono la spartizione dell'Africa intera e tutto quanto non era stato ancora conquistato. Inghilterra, Germania, Belgio, Olanda, Russia, Stati Uniti, Italia e Francia iniziarono la "gara" con ogni mezzo, in ogni luogo e in varie forme. Una intesa diplomatica c'era inizialmente, ed erano impegni di non darsi fastidio in questa espansione coloniale. Ma poi alcune nazioni iniziarono a ignorare le mire di altre. Nel 1914 l'Inghilterra aveva portato a 33.000.000 i kmq delle sue colonie (100 volte la superficie italiana). La Germania - pur con riluttanza - non rimase a guardare. Sbarcò in Africa in Namibia, nel Ruanda, nel Togo, nel Camerun, nella Nuova Guinea, e tentò in Turchia.
La Francia fu una temibile concorrente di tutti. Ma soprattutto dell'Italia che fino al 1882 non aveva nulla. I Francesi invece erano sbarcati già nel 1830 in Algeria, ma prima ancora della Conferenza di Berlino (nel 1881) iniziarono a penetrare in Tunisia. Un territorio che ambiva l'Italia, per motivi storici ma anche perché era di fronte alla vicina Sicilia. C'erano stati a Berlino degli accordi Francia-Italia, ma poi i Francesi non li rispettarono. Oltre che la Tunisia, proseguirono nelle conquiste africane ed estesero la loro influenza in Marocco, Senegal, Congo francese, Ciad, Madagascar, buona parte del Sahara, e sul Corno d'Africa (Gibuti). Né tralasciò l'Asia, stabilendosi sul Tonchino, e sull'Annam (od.Vietnam) creando con il Laos l'Unione Indocinese. Nel 1914 la Francia poteva già contare su una superficie di oltre 10.000.000 di kmq di possedimenti. (30 volte l'Italia).
Tralasciamo Belgio, Olanda, Russia e Stati Uniti, e soffermiamoci in Italia che si buttò nell'avventura colonialistica senza avere né i mezzi logistici, né il potenziale economico e tanto meno abili statisti. Le sollecitazioni vennero dai nuovi governi della Sinistra (Crispi) e soprattutto dettate da questioni di prestigio.
Fin dal 1869 la Compagnia di navigazione genovese Rubattino aveva occupato la Baia di Assab sulla costa occidentale del Mar Rosso, per crearvi un deposito di carbone. In quell'epoca, arditi esploratori italiani, sostenendo fatiche e patimenti d'ogni sorta, superando difficoltà inaudite, penetravano nel cuore dell'Africa, ne percorrevano i deserti interminabili, attraversavano le foreste, seguivano il corso dei fiumi, si internavano tra i monti, svelavano i segreti di quel continente in gran parte sconosciuto.
Gli italiani - con queste "missioni scientifiche" furono i primi e più intrepidi nel dedicare la loro attività all'esplorazione dell'Africa orientale. GIOVANNI MIANI fra il 1871 e il 1872 risalì il Nilo Bianco; CARLO PIAGGIA esplorò il paese dei Niam Niam e morì a Chartum (nel Sudan Anglo-Egiziano) nel 1881; ORAZIO ANTINORI esplorò l'altipiano etiopico e la regione dei grandi laghi; ROMOLO GESSI, ufficiale, nell'esercito egiziano, dimorò parecchi anni nel Sudan, condusse a compimento l'esplorazione del lago Alberto, e morì a Suez nel 1881; GIUSEPPE MARIA GIULIETTI, GIOVANNI CHIARINI, GUSTAVO BIANCHI e GIAN PIERO PORRO, venivano uccisi coi loro compagni o all'inizio o sul finire dei loro viaggi.
La conoscenza della Somalia fu opera di LUIGI ROBECCHI BRICCHETTI, di ANTONIO CECCHI e specialmente di VITTORIO BOTTEGO, il quale in due viaggi (1892-93 e 1895-97) scoprì le sorgenti del fiume Giuba e determinò il corso dell'Omo-Bottego, immissario del lago Rodolfo. Alle esplorazioni tennero dietro occupazioni di piccoli territori. Ma Francia e Inghilterra allarmate di così tanto dinamismo, si affrettarono a occupare le regioni più ricche; e anche la Germania si fece avanti arditamente. L'Italia (per motivi anche storici) aspirava alla Tunisia, dove si erano già stabiliti molti italiani; ma, per l'inettitudine del Governo di allora, si lasciò precedere dalla Francia. Questa, col pretesto di impedire le incursioni dei Krumiri (una popolazione montanara dell'interno), costrinse il Bey di Tunisi ad accettare il suo protettorato (1881). L'Italia rimase con un palmo di naso, che scatenarono feroce critiche nel paese. Nel 1882 il governo italiano impossibilitato a fare una vera e propria spedizione coloniale offensiva, ebbe una singolare idea: comprò la Baia di Assab dalla Compagnia Rubattino. Messa così una base, che diventò ben presto con l'invio di alcune migliaia di soldati una testa di ponte, nel 1884 occupò la città di Massaua, anch'essa sul Mar Rosso, con lo scopo di farne un porto commerciale delle regioni retrostanti. Di qui poi l'Italia avanzò verso l'interno, per occupare la parte settentrionale dell'Altipiano Etiopico. L'avanzata e poi l'insediamento fu ostacolato dal Negus Giovanni II, sovrano dell'Etiopia (dagli italiani battezzata Abissinia). A Dogali 500 soldati italiani, comandati dal colonnello DE CRISTOFORIS, furono assaliti da orde innumerevoli di Abissini, e dopo due ore di accanito combattimento caddero, bagnando col loro sangue il suolo della prima colonia africana dell'Italia (26 gennaio 1887). Un'altra spedizione ristabilì senza molte difficoltà il prestigio italiano e tenne più in rispetto i nemici. Poco dopo il Negus morì; FRANCESCO CRISPI capo del governo italiano, fece subito con MENELIK, re dello Scioia, un patto e lo aiutò a diventare Negus dell'Abissinia (1889). Nello stesso anno con il Trattato di Uccialli, Menelik -dopo l'aiuto di Crispi- ovviamente riconosceva il protettorato italiano sull'Abissinia.
I possedimenti furono allora riuniti sotto il nome di COLONIA ERITREA (1890).
Famoso l'intervento di Crispi alla camera rivolto verso le "colombe" pacifiste "Siamo a Massaua e ci resteremo" Una vera e propria "apologia del colonialismo", che fra l'altro andrà ad alimentare la retorica nei successivi anni, quando in nome di questa disfatta, si invocherà il riscatto "patriottico" per giustificare una nuova ondata di imperialismo.
Alcuni anni dopo - nel '95, dopo che l'Italia si era spinta a occupare anche il Tigreè - Menelik rinnegò le sue promesse, e provocò una guerra che, dopo varie vicende, terminò con la sfortunata battaglia di ADUA (1 marzo 1896). I soldati italiani vi combatterono con valore, ma il loro capo, ORESTE BARATIERI, non seppe guidarli alla vittoria; e l'Abissinia si sottrasse al protettorato italiano.
I confini fra Colonia Eritrea e l'Abissinia rimasero fissati dal fiume Mareb, dal suo affluente Belesa e dal torrente Muna. Frattanto fin dal 1890, in seguito ad accordi con il sultano di Zanzibar, con l'Inghilterra e con la Germania, l'Italia aveva acquistato il possesso della Somalia, dal capo Guardafui alla foce del Giuba. Nei primi anni la Somalia, fu amministrata dalla Società del Benedir; nel 1908 passò alla dipendenza del governo. Per lungo tempo, soltanto la zona meridionale, o Benedir (capitale Mogadiscio), fu dominio diretto; la zona settentrionale comprendeva tre protettorati: il Sultanato di Obbia; il territorio di Nogal; il Sultanato dei Migiurtini: tutti e tre amministrati da un commissario residente a Benedir Alula. Il Governo Nazionale fascista abolì i protettorati e ridusse tutto il territorio a dominio diretto. La Colonia Somalia si ingrandì poi con l'Oltregiuba, zona a ovest del fiume Giuba, ceduta dall'Inghilterra all'Italia, in esecuzione dei patti fatti per la guerra europea.
Un altro problema s'impose poi all'Italia: tutte le coste africane sul Mediterraneo erano possedute da nazioni straniere: Spagna, Francia, Turchia, Inghilterra. L'Italia, collocata al centro di questo mare, correva il rischio di venire chiusa e soffocata, senza possibilità di espansione. Rivolse perciò la sua attenzione alla Tripolitania e alla Cirenaica, malamente amministrate dalla Turchia. Vi iniziò una lenta penetrazione, per mezzo di missioni scientifiche, di operazioni commerciali, di imprese agricole e industriali, di banche e di scuole. Questa attività fu ostacolata dalla Turchia in tutti i modi: e l'Italia fu costretta a dichiararle guerra (settembre 1911), e ad occupare militarmente la Tripolitania e la Cirenaica. La Guerra, condotta per mare e per terra, terminò nell'ottobre 1912, col Trattato di Losanna, in virtù del quale la Turchia cedette all'Italia tutte le regioni contestate, nonché (le operazioni erano state estese anche nell'Egeo) l'Isola di Rodi e un gruppo di altre dodici isolette nel Mediterraneo orientale (Dodecaneso). Tripolitania e Cirenaica vennero raccolte in una sola colonia, col nome di Libia. Lo scoppio della Guerra Mondiale andò a sconvolgere non solo tutti gli stati europei ma anche tutte le colonie. A spartirsi quelle tedesche le ingorde Francia e Inghilterra.
Fu la "grande realizzazione" del regime fascista. Mussolini fin dall'inizio del suo governo lo aveva promesso all'Italia. Pur vittoriosa nella Grande Guerra, le erano stati nella pace sottratti i suoi diritti. I suoi alleati, già ricchi di pingui colonie, si erano spartiti i possedimenti tedeschi, cedendo all'Italia soltanto alcuni tratti desertici, senza valore. Ciò accadde per la debolezza degli uomini che allora reggevano i destini dell'Italia, e che non seppero far rispettare i diritti conquistati a prezzo di tanto sangue.
Mussolini su questa indignazione iniziò a costruire la sua fortuna e, salito al potere, si propose di educare e preparare il popolo italiano alla giusta rivincita che -inutile aggiungere- tutti volevano; anche se molti italiani pensavano ancora che le colonie fossero politicamente un ingombro, economicamente una passività, perché chiusi nel fiacco egoismo di una politica casalinga, desiderosi soltanto di pace a qualsiasi prezzo. Ignorando però che gli altri non pensavano le stesse cose, ma continuarono a spadroneggiare con ulteriore colonialismo, ulteriori annessioni, usando la forza, giustificandola come "sicurezza delle nazioni". Implicitamente affermavano che "unicamente con la forza che i popoli - se sanno osare e combattere- si fanno grandi".
Nacque così - in 14 anni di regime- quello "spirito coloniale nel Popolo italiano e la volontà di potenza" dei suoi governanti: del Re, di Mussolini, dei Militari di carriera, di una miriade di gerarchi in cerca di facile gloria, di fortuna, di prebende, di rendite o di semplici medaglie da mettersi sul petto da sfoggiare nelle adunate. Né mancarono gli industriali e le banche con i lucrosi affari, sia della guerra che delle opere pubbliche da realizzare sul nuovo territorio.
La grande avventura africana iniziò nel 1935. L'Impero Etiopico, confinante con le colonie dell'Eritrea e della Somalia molestava i possedimenti italiani con frequenti razzie e con atti di ostilità. (Questo era quanto riportavano i giornali).
Un incidente più grave del solito (ma alcuni storici riferiscono pretestuoso) fece "traboccare la bilancia" (Incidente di Ual Ual). L'Italia chiese soddisfazione dei danni morali e materiali subìti per opera degli Abissini cui il Negus non era in condizione di soddisfare. Fu dunque ritenuto "giusto" e "necessario" e "sacrosanto"... "nell'ora solenne", ricorrere alle armi (3 Ottobre 1935) nonostante l'ostilità dichiarata della Società delle Nazioni, che offrendo una ambigua solidarietà al Negus, bandì contro l'Italia il blocco economico con le (blande) Sanzioni
(in effetti tutto si svolse osteggiando una finta indignazione e le stesse sanzioni furono null'altro che una farsa).
Dopo tante crisi militari (esonero De Bono) e dopo un attacco giudicato immorale (l'uso dei gas iprite) il 5 maggio del 1936 il corpo italiano di spedizione guidato da Badoglio (quasi in gara con Graziani nell'arrivare primo) entrava ad Addis Abeba, la capitale dell'Ex Impero Scioiano. Il 9 maggio dal balcone del Palazzo Venezia, Mussolini annunciava al popolo italiano che i territori ( 1.149.000 kmq) e le genti (8 milioni di abitanti) già appartenenti all'Impero Etiopico venivano posti sotto la sovranità piena ed intera del Re d'Italia, il quale assumeva anche il titolo di Imperatore.
"Sui colli fatali di Roma tornano a risplendere le insegne dell'Impero!" (Mussolini)
Riflessioni sul colonialismo italiano
L'Italia dopo essere stata sconfitta nell'illusione coloniale non ha mai fatto un'opera di autocoscienza per comprendere e condannare le azioni militari in territorio extraeuropeo. La dimenticanza collettiva non ha lasciato spazio ad alcun tipo di mea culpa e l'Impero è divenuto un esempio citato più volte dai post-fascisti per assolvere parzialmente il regime fascista del ventennio. La propaganda che impregnava la politica estera fascista offuscò la conoscenza dei reali interessi che stavano alla base delle conquiste. Anche i risultati potenzialmente ottenibili dalle conquiste vennero ingigantiti. L'ignoranza posta allora dal regime permane presso la maggior parte degli italiani. Molti potrebbero avere l'attenuante di non essere stati presenti ai fatti e conseguentemente di non poter influenzare la ricostruzione storica; altri hanno ben più gravi responsabilità perché hanno sempre taciuto, nonostante sapessero, in merito ai crimini di guerra commessi dagli italiani in Libia, Etiopia, Somalia, Eritrea e Albania.
L'opinione pubblica in generale non ha mai espresso una condanna nei confronti del colonialismo; in ambito privato gli italiani che vissero gli anni del consenso continuarono a sentirsi fieri di quando Mussolini riempiva le piazze per fare proclami di onnipotenza nascondendo però la realtà dello scenario di guerra. Le nuove generazioni del dopoguerra hanno subito, allo stesso modo dei nonni e dei padri, la propaganda fascista, perché non avendo avuto un'istruzione libera dal senso di grandezza dell'italica razza hanno percepito i racconti dei "vecchi" e magari letto le scartoffie propagandistiche di un tempo. Se sia accaduto in cattiva o mala fede, rimane il fatto che la maggior parte degli italiani ritiene il nostro colonialismo essere stato differente da quello di altre potenze. La responsabilità di tale diffuso sentimento assolutorio, che dipende dal non conoscere i fatti, spetta principalmente alla lobby coloniale che ha mutilato parte degli archivi ed ha sempre posto veti affinché non si parlasse di crimini. Rimane il fatto che il tempo passa e che tali pressioni prima o poi sarebbero venute meno.